Informazioni personali

La mia foto
Rho, Milano, Italy
Mi propongo di far conoscere realtà che non piacciono, sono scomode e infastidiscono per la loro crudezza.Vorrei che ognuno di noi si interessasse agli altri anche se distanti.

sabato 23 aprile 2016

Un Sogno Chiamato Liberia

Liberian' s Warrior. Photographer Crhis Hondors.



Sognavo la Liberia. La sognavo da anni. Un luogo chiamato Liberia ha il sapore della libertà.
Un luogo dove dagli Stati Uniti riportavano indietro gli schiavi affrancati, i quali finalmente potevano essere uomini e non più schiavi. Decisi che sarei andata, avrei visto coi miei occhi quel piccolo stato africano. Poi ho misi da parte le fantasie e prima di partire mi sono armata di libri e ho iniziato a vedere documentari e venni a sapere come la fondazione della Liberia (1849) era in realtà una manovra da parte degli Stati Uniti per continuare il commercio quando la schiavitù non rendeva più come nei tempi passati.



Mi incuriosiva specialmente capire come si sentissero queste persone che dopo essere state private della libertà per generazioni erano finalmente tornate a "casa". L'essere umano tende a riproporre ciò che ha visto e ha vissuto, tenderà a riformare legami e ad educare i figli così come a sua volta è stato cresciuto ed educato questa è la base che propone John Bowlby nella  "Teoria dell'Attaccamento"(JohnBowlby, 1958). Il riprodursi di legami di un certi tipo va ben al di là di come ha teorizzato e ben dimostrato Bowlby nell'interazione madre-bambino, infatti lo stesso meccanismo viene applicato a gruppi di esseri umani adulti che essendo cresciuti in condizioni di sfruttamento a loro volta tenderanno a replicarlo, se ne avranno la possibilità. Così mi sono spiegata la presa di potere dei primi africani rimpatriati africani verso gli autoctoni, con cui intrattennero relazioni di sfruttamento per le risorse economiche, in modo da poter loro stessi detenere un potere economico-politico attraverso il commercio di beni con gli USA. La stessa American Colonization Society aveva appunto deciso di utilizzare ex-schiavi per intrattenere rapporti commerciali con la West Coast africana.
Avevo visto immagini di torture, di uomini uccisi, di bambini usati come spie e uccisi. Ma questo era per me finito nel 2003. Ora la popolazione come viveva? e le persone che avevano partecipato alla guerra ed erano ex-bambini soldato ora cosa facevano? Però era anche pur vero che il primo presidente democratico dopo 133 anni di predominio politico americano aveva messo fine quanto meno allo sfruttamento economico statunitense in questo piccolo paese. D'accordo c'erano state dittature dalla proclamazione dell'indipendenza in Liberia, però era pur sempre diventata indipendente. Certo Samuel Doe non era un santo, non riuscì a gestire la democrazia in Liberia, probabilmente a causa di un retaggio culturale africano in cui all'interno di un territorio prevale un clan (per noi il "territorio" è ciò che definiamo "stato"), e lui essendo un Krhan (clan del Sud Est liberiano) tendette ad avere favoritismi a persone che erano in parentela con lui. Vero, non fu capace di tenere sotto controllo i clan che popolavano lo stato-nazione chiamato Liberia e certamente se non fosse stato introdotto ed applicato un concetto statale non africano non sarebbero sorte tensioni così forti. Però Samuel Doeprovò di fatto a instaurare uno stato democratico nel 1984. Provò a creare uno stato  multipartitico, anche se poi si rivelò un fallimento. Però l'NPFL (National Front Patriotic of Liberia) guidato da Charles Taylor lo uccise nel 1990, e s,i lo sapevo, ma ancora non mi sentivo di sottovalutare il tentativo che aveva fatto Doe.
Due cose non riuscivo in realtà a coniugare: quello che avevo immaginato sulla Liberia e le fotografie delle due guerre civili e dei documentari che mi era capitato di vedere dopo molte ricerche.
E i famosi Warriors Naked (così  denominati in quanto si battevano nudi e con pitture tribali che gli ricoprivano il corpo, strenui sostenitori di S.Doe contro la fazione di C. Taylor), che avevano combattuto in entrambe le guerre civili, ora erano in prigione o erano tornati ad essere reintegrati nel clan dei Krahn? Come la società si era ricostruita dopo un conflitto che aveva puntato tutto sul distruggere le maglie sociali attraverso stupri per differita? D'accordo la Liberia era nata a fatica, c'erano stati soprusi e una serie di dittature, i rapporti tra rimpatriati e nativi non erano andato per il meglio in quanto i primi forse si sentivano più statunitensi e si sentivano forse "culturalmente superiori", per essere nati tra i "bianchi" e nell'intraprendere rapporti economici con loro.

Decisi di partire.

lunedì 18 aprile 2016

Odio gli Indifferenti


La Visione della Donna Durante il Colonialismo Italiano-I Parte

Tempo fa, mi trovai a scrivere un articolo per un amico fotografo che da un paio d'anni si occupa, anche di storia del colonialismo italiano in Somalia.
Naretti (?), Nudo Femminile
Mi chiese nello specifico di spiegare la differenza esistente tra "clan" e "tribù", argomento che avevamo già discusso a voce nel suo studio di Torino, luogo (il suo studio), che con il tempo è andato sempre più identificandosi con la mia passione per la fotografia.
Scrissi l'articolo, ma nel recuperare testi che si occupavano di quel periodo storico e tanto più di colonialismo italiano, mi sono involontariamente imbattuta nella visione e nell'immaginario della donna nera, da parte del regime fascista.
Rimasi a dir poco sconcertata, nello scoprire una letteratura di carattere strettamente razzista che trattava dell'argomento. Forse il più noto tra questi scrittori resta Gino Mitrano Sani che nel 1933 pubblica Femina Somala romanzo in cui si descrive la donna come mero corpo, senza alcun tipo di pensiero e quindi resa fruibile all'uomo come oggetto di piacere. Il mito della Venere Nera veniva insomma scritto e fotografato (ricordiamo le foto dei fratelli Naretti) come parte integrante di una colonizzazione che mirava all'annientamento di un popolo anche tramite armi culturali.
Questo tipo di visione era destinata a mutare negli anni. Infatti con l'introduzione delle leggi razziali e l'approvazione del RDL 740 del 19 aprile 1937, Sanzioni per rapporti di indole coniugale tra cittadini e sudditi, il quale recita "Il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie tiene relazione di indole coniugale con persona suddita dell'Africa Orientale Italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell Africa Coloniale Italiana è punito con la reclusione da uno a cinque anni", già si evidenzia un netto cambio di prospettiva in relazione al ruolo degli italiani nelle colonie dell' Africa Orientale.
Con la proclamazione dell'Impero e la promulgazione delle Leggi Razziali, prese piede una visione sempre più improntata a una superiorità biologica della "razza italica"che portò ad arresti e sanzioni verso soldati che non si erano limitati a intrattenere relazioni di tipo strettamente sessuale con le donne indigene, così come furono aboliti e messi fuori legge quegli istituti che si occupavano di bambini meticci, nel tentativo di abolire qualunque rapporto affettivo tra colonizzatore e colonizzato. Vale la pena citare come esempio, la rivista "La Difesa delle Razza" edita per la prima volta il 5 agosto 1938, dove tra le firme più illustri compare quella dell'antropologo Lidio Cipriani, il quale teorizzava l'esistenza di "grandi" e "piccole" razze su basi strettamente biologiche, in quanto permette di capire come il cambio di prospettiva avvenisse non  solo legalmente, ma anche culturalmente.
Lidio Cipriani
Senza voler approfondire il tema del colonialismo italiano in Africa Orientale, in quanto troppo controverso, ampio e complesso, mi sono maggiormente interessata alla visione dei contemporanei, in particolare degli psicologi sociali, circa i fenomeni verificatisi a quel tempo.
Una delle prospettive che trovo più interessanti e calzanti per comprendere il fenomeno del "madamato" è il Modello del Contenuto degli Stereotipi proposto da Fiske, Cuddy,Glick e Xu (2002) in cui il rapporto tra gruppi dominanti e dominati si polarizza intorno alla competenza e al calore percepiti tra i gruppi. Tale modello prevede che quattro tipi di pregiudizio, ovvero:

  • Pregiudizio di Ammirazione: rivolto agli appartenenti del gruppo ad alto status sociale, connotato da sentimenti di competenza, percepito come cooperativo, quindi connotato da sentimenti "caldi" come deferenza, rispetto, ammirazione
  • Pregiudizio Invidioso: rivolto verso gruppi ad alto status e con relazione di competizione, dunque connotato da sentimenti freddi quali invidia, paura, risentimento e ostilità. 
  • Pregiudizio Paternalistico: rivolto verso gruppi a basso status sociale e connotato relazioni di cooperazione, in cui i membri del gruppo target sono visti come caldi ma incompetenti, suscitando così emozioni sia negative come la mancanza di rispetto e la condiscendenza, sia positive come la pietà e la compassione.
  • Pregiudizio Sprezzante: rivolto a gruppi a basso status sociale con cui si percepisce una relazione di competizione ed è puramente collegato ad emozioni negative che possono sfociare in comportamenti di annientamento e segregazione.
Mi sono dilungata nel descrivere tale teoria, in quanto la trovo particolarmente calzante per dare una buona lettura del "madamato" poiché esemplificativo di come venne applicato lo Stereotipo Paternalistico, in cui la donna veniva per l'appunto vista con pietà e compassione se si comportava in maniera da assecondare ogni tipo di desiderio maschile e non si discostava dal ritratto di "cane fedele" che pur senza un pensiero, poteva dimostrarsi utile nel lavoro domestico e nelle prestazioni sessuali.
I crimini contro le donne durante il periodo coloniale italiano restano comunque in gran parte prive di documentazione, in parte per via del ritardo delle indagini storiche e della mancanza di documenti relativi all'argomento, che favorirono la ricostruzione identitaria degli italiani nel periodo post-bellico come "brava gente", sia perché i resoconti femminili relativi a quel contesto torico sono pochissimi.
Vorrei concludere con una nota positiva: sono venuta a conoscenza di queste informazioni grazie ai lavori pubblicati dal Dipartimento di Psicologia dell'Università Milano-Bicocca, la quale sta dando avvio a un programma che ha come obiettivo gli atteggiamenti e le emozioni riguardo all'esperienza coloniale italiana. Mi auspico che ci sia anche una sezione dedicata alle donne che hanno subito non solo una discriminazione etnica, ma anche di genere.

venerdì 15 aprile 2016

L'infanzia in un campo profughi

I bambini in un campo profughi in Kivu (RDC ) . Queste persone aspettano che le NGO (organizzazioni non governative) gli diano accesso alle cure mediche e all'istruzione. 
La guerra interetnica tra Hutu e Tusti si spostò in RDC poco dopo il genocidio del Rwanda e ancora se ne vedono gli effetti.

Children in the refugees camp. Photographer Eva Menossi. 

Children refugees. Photographer Eva Menossi.


Child in the refugees camp. Photographer Eva Menossi.